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Stampa: “Intervista a Flavio Togni”, le news dell’Ameircano

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Il grande circo è tornato. «Al futuro»
 
Stasera lo spettacolo dell’American Circus debutta a Bergamo con un titolo che promette lunga vita Flavio Togni: «È l’unico evento dal vivo capace di unire un pubblico di tutte le generazioni»
Lo spettacolo si chiama Al futuro , e non è il solito titolo ad effetto. L’American Circus, che da stasera al 7 novembre darà due spettacoli al giorno sulle sue tre piste, è davvero il futuro dello spettacolo viaggiante. O meglio, uno dei suoi possibili scenari futuri: strutture a grande capienza, un cast infarcito di stelle, numeri ad effetto, schiere di animali, il ricorso a registi e coreografi per dare unità e compattezza allo show.
Sono molti a sostenere che nei prossimi anni resteranno solo queste grandi strutture o, all’opposto, le piccole ed agili compagnie di saltimbanchi, busker e artisti di nuovo circo. Tutto ciò che sta in mezzo sarà destinato a sparire.
In ogni caso, stasera Bergamo riannoda il suo rapporto con il circo e si getta alle spalle l’amarezza di aver saltato il tradizionale appuntamento di Sant’Alessandro. La stagione non è delle più clementi ma lo spettacolo in compenso supera i precedenti per dimensioni produttive e ricchezza dell’offerta.
L’American Circus di Flavio e Daniele Togni (i Togni hanno rilevato le quote di maggioranza della società da John David Morton nel 1980) mancava a Bergamo da ben 18 anni. Nelle intenzioni, gli spettatori dovrebbero essere ripagati della lunga assenza, e con gli interessi.
Ne abbiamo parlato con Flavio Togni, che è lui stesso una delle maggiori attrazioni: a 44 anni (e al circo significa avere già alle spalle trent’anni di carriera), il figlio di Enis Togni è uno dei migliori addestratori di animali, soprattutto cavalli, al mondo. Ha avuto l’onore di essere la vedette, primo fra gli italiani, dello spettacolo per i 120 anni del Ringling Bros. and Barnum & Bailey, il più famoso circo al mondo. Ed è l’unico artista ad aver vinto per tre volte il Clown d’argento al Festival di Montecarlo: nel ’76, nell’83 e nel ’98, in aggiunta alle vittorie ai festival di Parigi, Vienna e Katowicze.
Che tipo di spettacolo presenta l’American Circus?
«Ci sono tutte le attrazioni classiche, perché riconosciamo un grande valore alla tradizione. Solo, ogni attrazione è ai massimi livelli e abbiamo dedicato particolare attenzione alla regia, al montaggio e alla coreografia: credo che sia questa la nuova frontiera dello spettacolo circense».
Quali sono le principali attrazioni?
«Non voglio fare torto a nessuno degli artisti, perché ho di tutti loro la massima stima. Mi fa piacere invece segnalare due “fuori programma” del debutto e, in particolare, la presenza di Pasquale Beretta, che è un bergamasco ed è uno dei migliori cavallerizzi d’Europa, vincitore di numerosi premi. Ci conosciamo da tempo e sono onorato che abbia potuto accettare il nostro invito, perché lui non è un artista circense e per noi fa un’eccezione. In pista farà un numero unico, basato sul tango».
E il secondo fuori-programma?
«È il corpo di ballo di Gardaland, che si esibirà sul tema di Halloween. È un omaggio a una ricorrenza che, pur non facendo parte della tradizione italiana, è ormai nel costume di molte persone, soprattutto giovani».
I giovani sono anche i meno assidui agli spettacoli di circo: in genere lo si pensa come attrazione per famiglie.
«In realtà il circo è forse l’unico evento dal vivo capace di unire tutti. La mia soddisfazione più grande, durante gli spettacoli, è vedere riunite intorno alla pista tre generazioni: i nonni, i figli e i nipoti. Non mi sembra poco, soprattutto non mi sembra banale il fatto che, in quel momento, tre generazioni stiano vivendo emozioni simili».
Per lei il circo è una questione di famiglia in tutti i sensi, in pista come in platea. Ma cosa significa chiamarsi Togni?
«Significa fare questo lavoro per passione, e avvertire la responsabilità di portare avanti al meglio una tradizione. Per noi non è mai questione di puro business: e infatti capita che un impresario, di fronte a una crisi, cerchi altri settori dello spettacolo in cui investire. Noi no: amiamo il circo e vogliamo fare il circo, e dunque dobbiamo trovare il modo di continuare e superare ogni difficoltà».
Ha parlato di crisi: com’è la situazione in questo momento?
«Noi e quelli che hanno compiuto scelte analoghe quasi non ce ne accorgiamo, perché proponiamo show, mi conceda l’immodestia, di altissimo livello. Per il resto, il circo vive un momento di transizione come tutto il teatro e l’intrattenimento in genere. Risentiamo della crisi economica e del ristagno dei consumi, come tutti».
Forse le vostre difficoltà sono più legate alle incertezze legislative e alle carenze burocratiche.
«Di questo oggi non parlo, per me il circo è prima di tutto gioia».
Una gioia, una passione: ma quando ha esordito, poco più che bambino, non avvertiva il peso di dover essere all’altezza dei suoi genitori e della dinastia di cui fa parte? Molti figli d’arte ne sono schiacciati.
«Se devo essere sincero, no. Non per presunzione, anzi. Il fatto è che per me è stato naturale lavorare nel circo, e soprattutto lavorare con gli animali, che amo e con i quali sono cresciuto. Ho avuto genitori che non hanno mai imposto niente, né a me né a mio fratello».
Qual è stata la sua più grande soddisfazione professionale?
«Forse lei si aspetta che risponda citando le vittorie a Montecarlo. In realtà la più grande emozione l’ho provata al Madison Square Garden, quando mi sono esibito per il Barnum: vedevo la platea gremita di questo immenso palazzetto e in camerino avevo trovato il mazzo di fiori di Mario Cuomo, italo-americano e allora governatore di New York».
Pier Giorgio Nosari
(da L’Eco di Bergamo)

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