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CINQUANT’ANNI FA I CLOWNS, IL FILM PIÙ AMATO DA FELLINI

I Clowns
CINQUANT’ANNI FA I CLOWNS, IL FILM PIÙ AMATO DA FELLINI
 

Il circo, i clown: la più bella ossessione. Fellini cominciò a pensare al film con grande felicità. Aveva cinquant’anni e veniva da un momento di produzione molto intenso. In poco più di due anni aveva girato tre film (Toby Dammit – episodio di Tre passi nel delirio -, Block-notes di un regista Fellini Satyricon) ed era del tutto appagato. Da tutto il mondo gli arrivavano segnali e riconoscimenti che lo indicavano, sostanzialmente, come il più grande cineasta del suo tempo. Nel corso della carriera, coi film, aveva raccontato del tutto se stesso. Lavorare aveva significato per lui, oltre che espressione, anche divertimento e terapia.
Come per tutti i massimi artisti che trovano quello che hanno cercato, era arrivato il momento di concedersi il lusso più grande e intimo, qualcosa che fino ad allora non gli era stato permesso. Un meccanismo che di solito scatta verso la fine della carriera: il grande John Huston per tutta la vita aveva desiderato realizzare un film da un’opera di James Joyce (Gente di Dublino) e c’era riuscito ottantenne, appena prima di morire. Il circo, i clown erano stati per Federico la più bella gioia e ossessione giovanili. È proprio il mondo privo di regole e convenzioni che sognano quasi tutti gli artisti. E Fellini per primo. Tentazione irresistibile Prima della dichiarazione d’amore espressa con questo film, la passione del regista per il circo si è manifestata attraverso altre varianti: Zampanò e Gelsomina ne La strada hanno una stretta parentela con I clowns. Ci sono i pagliacci che aprono il girotondo finale di 8½ guidati dal bambino che rappresenta simbolicamente Federico a quell’età. C’è il clown triste che suona la tromba ne La dolce vita.

 
Il regista dichiarava che «sesso, circo, cinema e spaghetti» davano una valida alternativa al sistema educativo vigente al tempo della sua infanzia, che era «casa, chiesa, scuola e fascismo». Quel mondo strano, senza regole, quei personaggi senza faccia che lavoravano e vivevano con gli animali erano una rappresentazione della sua personalità bislacca e avulsa da ogni schema. Un clown può prendersi una doccia, cavalcare un elefante, rovesciare della panna montata addosso a uno spettatore, ridere e subito dopo piangere. È proprio il mondo privo di regole e convenzioni che sognano quasi tutti gli artisti. E Fellini per primo.
Pino Farinotti

I rumori del montaggio notturno di un tendone in piazza svegliano un bambino che, incuriosito, osserva la scena dalla finestra. È il primo incontro tra il piccolo Federico e il mondo del circo. La sera seguente il bambino assiste allo spettacolo, scoprendo l’esistenza dei clown, parodia dei personaggi del mondo reale. Ma anche fuori dal tendone, per le vie di Rimini, si incontrano individui non meno grotteschi e irreali. A distanza di decenni, circondato da un’improbabile troupe, Fellini si appresta a realizzare per la televisione un documentario sui clown, per capire se quel tipo di arte sia ancora viva o se stia tramontando. La realizzazione del documentario implica la visita a un’emittente francese e l’esame dei filmati d’archivio. A questo fa subito seguito l’incontro diretto con diversi esponenti della tradizione circense, clown nostalgici ormai a riposo. La troupe quindi segue i funerali di un clown, Fischietto, cui partecipa un corteo di colleghi che gradualmente sconvolgono l’atmosfera luttuosa con scherzi paradossali. Viene ricordato un numero in cui si simulava la morte di un clown, che riappariva chiamato dalla tromba del suo compagno. In un circo vuoto è ambientata la sequenza conclusiva: due clown suonano le loro trombe, seguiti da un riflettore fino al centro della pista, per poi scomparire nel buio. Il gioco nel gioco In  Fellini aveva scoperto la possibilità di prendere in giro il proprio ruolo di regista.
Ne I clowns perfeziona il gioco, mettendo in scena non solo il proprio alter ego bambino, processo che completerà in Amarcord, ma addirittura se stesso nel proprio ruolo, senza più l’intermediazione dell’attore. Come aveva già fatto in precedenza, il regista coinvolge nella finzione cinematografica personaggi reali, dai fratelli Orfei ad Anita Ekberg. Ma soprattutto il film è popolato da una legione di veri clown che interpretano se stessi. Al contrario, i membri della troupe del documentario sono in realtà attori. Alcuni di essi appaiono in altri ruoli nella parte ambientata negli anni Venti e nella sequenza del funerale. All’interno delle situazioni “realistiche” con Fellini al lavoro, si susseguono episodi clowneschi che ne smantellano l’apparente serietà. L’artificio del falso documentario nasce con Block-notes di un regista, che Fellini realizzò nel ’69 per la rete americana Nbc. Ottimo espediente per fare cinema sul cinema, viene ripetuto nel successivo Roma e in una delle ultime opere, Intervista. L’idea ha affascinato anche Woody AllenPrendi i soldi e scappa (1969) e Mariti e mogli (1992) hanno la struttura di un reportage televisivo di cui imitano anche le tecniche di ripresa. Ma a fare scuola è Fellini, artista italiano del secolo.

Da www.mymovies.it del 26/11/20

CINQUANT’ANNI FA I CLOWNS, IL FILM PIÙ AMATO DA FELLINI

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