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Intervista a Liana Orfei su “Il Messaggero”: «Il circo è arte pura, ma ormai è morto»

 

Su Il Messaggero di oggi 26 novembre una intervista sincera, aspra, autentica a Liana Orfei sulla situazione del Circo in questo momento, in occasione dell’uscita della sua autobiografia “Romanzo di vita vera” edita da Baldini e Castoldi. Ve la proponiamo integralmente:

L’attrice e trapezista pubblica la sua autobiografia, “Romanzo di vita vera”, e lancia l’allarme per la situazione drammatica del settore: «II Covid ci ha rovinato, gli animali non hanno da mangiare. E senza animali questi show non possono esistere»

«Il circo è arte pura, ma ormai è morto»

Un disastro. Una catastrofe. Il Covid ci sta affamando e dal governo non arrivano aiuti. In Italia è come se il circo non esistesse». È un grido d’allarme, tra rabbia e incredulità, quello lanciato dall’emiliana Liana Orfei, 83 anni, erede della dinastia circense più famosa d’Italia, musa di Federico Fellini, trapezista, attrice in più di 40 film, e oggi autrice della ricca autobiografia Romanzo di vita vera — La regina del circo: un viaggio nella storia d’Italia attraverso gli occhi di una donna nata, letteralmente, in carovana.  «In Germania, in Francia e in America il circo è considerato arte pura. Solo in Italia siamo impresentabili, offesi e maltrattati, nonostante paghiamo le tasse come tutti». E con i circhi fermi per Covid, bloccati nelle città italiane, i primi a pagare lo stato di abbandono, denuncia Orfei, sono gli animali: «Per fortuna ci sono volontari che donano il fieno: agli elefanti ne serve un quintale e mezzo al giorno. Ma alle tigri e ai leoni serve carne, una dose quotidiana di sei-sette chili, una ventina di uova e otto litri di latte».

Gli animalisti che dicono?

«Non ci aiutano. Aiutano solo gli animali nelle oasi, quelle con gli ingressi a pagamento. Ci aiuta la gente che ama il circo. E il circo si fa con gli animali».

Ma gli animali non soffrono in gabbia?

«Non ho mai amato le gabbie e questo, nel mio ambiente, mi ha procurato molte antipatie. Ma meglio nelle gabbie circensi, dove vengono trattati da figli, che nelle case di chi li compra sottobanco. O nei capannoni dove muoiono di inedia e tristezza dopo il sequestro».

Un circo senza animali non è circo?

«Se la immagina l’opera senza musica? Il Cirque du Soleil (il circo canadese oggi in bancarotta, ndr) ci ha provato: facevano una bellissima pantomima. Sono falliti».

Non è stato il Covid?

«No, lavoravano sottocosto da un pezzo. Avevano già venduto tutto agli americani e ai cinesi. I bambini, ai loro spettacoli, si annoiavano e piangevano. Io li adoravo. Ma non era circo».

Cosa rimane della sua dinastia?

«Niente, la dinastia è finita. I miei fratelli sono morti, io mi sono ritirata, anche Moira non c’è più. Suo marito Walter se n’è andato nel 2015. Resta il nome».

E gli animali?

«Al figlio di Moira, Stefano. Li accudisce lui. Non ha un suo circo, ma ogni tanto entra in società con altri».

Lei oggi di cosa vive?

«Delle mie quattro lire di pensione. Del mio lavoro quando capita. Non ho messo via grandi cifre, i gioielli, gli zaffiri e gli smeraldi non li ho più. Ma mi sento una gran signora lo stesso. Nella vita ho fatto quel che ho voluto».

Perché il circo è morto?

«Il circo come lo facevamo ai tempi di Fellini non può esistere. Neanche Berlusconi se lo potrebbe permettere. Solo per l’attrezzatura viaggiavamo su due treni da trenta vagoni. Avevamo 105 cavalli, 70 inservienti, un ettaro di spazio per gli animali».

Lo spettacolo più clamoroso?

«Il circo delle mille e una notte, da un’idea data da Fellini a mio fratello Nando, che recitava in Amarcord. Un allestimento da 450 milioni, costumi del premio Oscar Danilo Donati, attrezzature da Cinecittà. In pista 120 artisti. Era il 1975».

La voce di spesa più costosa?

«Gli elefanti. Fino a dieci anni fa costavano 150 milioni l’uno».

Fellini fu il suo talent scout: come lo ricorda?

«Venne al circo a vedermi, diventò un amico e lanciò la mia carriera. Mi chiamava “Lianina”, “piccolina”, “bellina”. Mai avuto doppi fini. Adorava la moglie ed era pieno di attenzioni per lei».

Luchino Visconti, invece, si invaghì di lei. Come andò?

«Una sera dopo una cena perse la testa. Mi sottrassi e tornai in camera, in albergo. Si arrampicò su un glicine per raggiungermi. Ero pronta a dargli un cazzotto. Facendo il trapezio avevo anche una certa forza, l’avrei steso. Poi si è arreso. Anni dopo mi regalò un levriero afgano».

Cazzotti ne ha mai dati?

«Uno sberlone a Ugo Tognazzi. Era una scena d’amore in Tipi da spiaggia, il mio secondo film. Mi ha baciata veramente e io ho reagito».

Ha detto molti no?

«Tanti. Nel 1963 ho detto di no a un lavoro da vedette a Las Vegas, un contratto faraonico: tre anni a 3.000 dollari la settimana. Ma non potevo portare con me mia figlia, che era piccola e non stava bene».

Sua figlia: la stessa Cristina cui lo zio tirava accette infuocate in pista?

«Io non volevo. Rinaldo era il migliore, ma le tirava al triplo della distanza di tutti gli altri: sei metri. E le accette pesavano cinque chili l’una. Una volta un’accetta ha rimbalzato e ha ferito Cristina alla testa. Li avrei menati tutti e due».

La sua specialità?

«Tutto ciò che è aereo. Ma non sono stata una grande artista di circo. Non ho il fisico e il cinema mi ha levato tempo».

Mai avuto paura?

«In tv, nel 1962, su Rail. Facevo Eva ed io, con Franca Valeri: mi fecero entrare in una gabbia di leoni vestita con le paillettes. Non si fa, innervosisce le bestie. Fu tremendo: quando un leone ti ruggisce a un metro di distanza senti il pavimento tremare».

E stata la cosa più strana che le hanno chiesto?

«No, per Magic Circus, sempre su Rail negli anni Ottanta, abbiamo

messo un orso polare nella fontana della Reggia di Caserta. Un disastro: si divorò tutte le carpe secolari

e non voleva uscire più. All’alba abbiamo scoperto che aveva un debole per i bomboloni alla panna, e siamo riusciti a tirarlo fuori».

Oggi che desideri ha?

«Mi sarebbe piaciuto che la sindaca Raggi ci avesse permesso di riaprire il Tendastrisce, il teatro di Roma dove organizzavo il Golden Circus (sequestrato nel 2015, ndr). Ma il teatro ormai è distrutto e in Rai il circo non lo vogliono più. E poi, come tutti gli artisti, spero di morire in scena. E di farlo col sorriso».

Di Ilaria Ravarino

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