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La finta realtà ne I Clowns: una grande lezione sul raggiungimento di un sogno

 

Recentemente è apparsa sul New York Times la questione del limite tra realtà e messa in scena nei documentari. L’articolo (di Manohla Dargis) faceva riferimento a tre film-documentari presentati all’ultimo Sundance film festival di cui il pubblico ha fatto fatica a intepretare il giusto grado finzione e presenza di realtà. La giornalista ha concluso dicendo “la verità sta nel mezzo”.
Beh, questo articolo mi ha fatto venire in mente uno dei film più appassionanti, spettacolari (nel senso circense della parola) e commoventi di Federico Fellini: I Clowns. Questo lungometraggio del 1970  racconta la vita e le acrobatiche performances di alcuni dei più famosi clowns italiani e francesi, realizzando così l’ossessione del regista emiliano per il circo. Si tratta di un continuo accavallarsi tra racconto cinematografico e documento, in una sintesi perfettamente riuscita delle due forme artistiche. 
Durante la visione del film felliniano mi sono chiesto più volte “ma questi clowns sono davvero esistiti o è pura fantasia” così alla fine ho sondato scoprendo che i personaggi non solo sono esistiti ma gli attori che li interpretano sono essi stessi i clowns raccontati. Ognuno intepreta se stesso. E’ magnifico: un documentario con degli attori che interpretano se stessi: sì perché il clown è in primis un attore. Nel film si vedono sia i clows svelati, cioè chi sta dietro quelle facce di cerone e capelli finti, e sia i clowns in scena. Un’eterna scatola cinese, un complesso labirinto di Dedalo: il film ha dentro di sè un documentario il quale racconta persone realmente esistite che a loro volta interpretano attori, nello specifico dei clowns.
A questo punto diventa difficile dire dove stia la verità. E poi la verità di che cosa? In questo caso di un’ossessione svelata, di un sogno raggiunto: ad ognuno di noi piacerebbe raggiungere il proprio sogno attraverso il proprio lavoro. Qui il sogno felliniano raggiunto non si tratta di fare il regista ma di raggiungere il clown, soggetto ossessionante ricercato per metafora in tanti altri film, raggiungerlo dicevo attraverso il proprio mestiere, quello del regista.
Un ottimo percorso di autorealizzazione, una lezione di vita. Esagerato? Non credo. Chiunque attraverso il proprio lavoro può raggiungere il proprio sogno. Solamente dev’essere chiaro quale sia questo intendimento finale. Solitamente è una cosa che ci accompagna sin da piccoli. Poi lo perdiamo di vista, ci fa piangere quando lo cerchiamo ma non lo troviamo, a volte ci fa ridere, proprio come un clown che ci fa ridere e poi piange e beve nell’oscuro della sua roulotte.
E poi ci chiediamo spesso il limite tra realtà e finzione solamente quando il sogno bussa alla nostra porta, quando è lì vicino. Proprio come l’arrivo del circo nella scena iniziale del film in questione.
Infine il bambino nel film spiega bene come realtà e finzione si mischino in modo quasi totale, che il clowns non è altro che una parodia dei personaggi di paese. Viviamo continuamente a contatto con la finzione: anzi, probabilmente è il sogno che rende viva la nostra vita.

 

Da www.cinemasospetto.over-blog.it del 03/03/10

08/03/2010 21.17.59

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