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Il sogno si avvicina. Il«Grand Chapiteau», il tendone …

Il sogno si avvicina. Il «Grand Chapiteau», il tendone bianco che ospita il Cirque du Soleil, verrà innalzato oggi sulla Cristoforo Colombo, nello spazio di fronte alla Fiera di Roma. La cerimonia della tenda, 50 metri di diametro e una capienza di 2500 posti a sedere, è un rito che si ripete in ogni città toccata dal circo che non è un circo: niente domatori con la frusta o tigri in gabbia che saltano nel cerchio di fuoco. Ma solo l’abilità muscolare, l’artigianato perfetto e la fantasia più sfrenata dell’uomo. Lo spettacolo scelto per il debutto assoluto a Roma (sotto il marchio del producer David Zard) è lo stesso che debuttò lo scorso aprile a Milano: «Saltimbanco». Soltanto le operazioni di montaggio (i tendoni in tutto sono tre) costano 300 mila euro e dureranno sette giorni, fino alla «prima» del 7 ottobre. Le repliche termimano il 31 ottobre, ma ci sarà di sicuro una proroga fino a metà novembre. Compresa la prevendita, il biglietto più caro costa 72 euro nei giorni feriali e fino a sabato pomeriggio, 82 euro nel week-end il biglietto meno caro costa invece (rispettivamente) 22 e 28 euro. Per informazioni telefonare al numero 06.45438800.
Si tratta di un vero e proprio villaggio che richiede 58 camion per il trasloco e include lo spazio del merchandising e quello dove gli artisti si rilassano, leggono libri, si truccano, fanno palestra o fisioterapia, una cucina, la scuola prefabbricata, riconosciuta e con metodo canadese (l’avventura del Cirque du Soleil è cominciata nel Québec, nel 1984) per i dieci bambini del branco.
Cinquantatré atleti provenienti da 15 Paesi, artisti di strada, ballerini, ex atleti olimpionici che danno vita a piramidi umane che sfidano le leggi di gravità. In questa macchina dei sogni ci vuole complicità, e in avvio incontri il clown che gioca con la platea, e si viene portati di peso o si resta coi pantaloni calati, senza quella malinconia polverosa e dura che si portano dietro i vecchi pagliacci col naso di cartone e il viso pieno di rimmel e di lacrime finte.
Si tratta della più grande industria del divertimento con 9 spettacoli (quattro dei quali stanziali a Las Vegas), oltre 7 milioni hanno visto «Saltimbanco», la produzione più antica. «Gli artisti – dice l’italo-belga Franco Dragone, il regista che ideò «Saltimbanco» – sono giocolieri e acrobati al servizio di un re che non esiste». Si è ispirato a una frase di Giuseppe Ungaretti: «Il barocco è un tentativo di riempire il vuoto per avere l’illusione che la vita non finisce mai». Ci sono riferimenti al ’500 e alla Commedia dell’Arte con grande profusione di colore.
Lo spettacolo ha offerto un assaggio alla Notte Bianca, sulla scalinata di Trinità dei Monti, ma per la verità quei tre frammenti non hanno dato l’idea di dove si va a parare. Creature multicolori, fluorescenti o elettriche, che si arrampicano sulle pertiche cinesi come gatti, equilibristi sospesi ad altezze diverse con spaccate e salti mortali tra ombrellini e monocicli, ritmi ipnotici, pose leonardesche e maschere iper-moderne e nasi a becco o alla Cyrano. Sul fondo la rock band esegue musica dal vivo nella scenografia che ricorda un alveare, strane parole (le uniche vere sono, nel finale, in italiano) suoni disarticolati, fonemi inventati che per strane vie diventano archetipi emozionali, universali, comprensibili a tutti. Perché la carovana dove sempre batte il sole dell’adolescenza è quasi tagliata più sui gusti degli adulti.

Valerio Cappelli

(da “Il Corriere della Sera” – Cronaca di Roma”)

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