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Stampa: Al Teatro Manzoni di Milano “La Strada”

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Uno spettacolo teatrale dedicato ai “randagi” che abitano la strada, che vivono tra noi, ma che li sentiamo lontani e rendiamo invisibili con i nostri pregiudizi

Si conclude la stagione Teatrale del Manzoni di Milano e non poteva chiudersi con uno spettacolo migliore,  che rievoca il film di felliniana memoria, il quale fu e rimane un grande capolavoro cinematografico consacrato con l’oscar nel 1956.

Così anche la versione teatrale de “La Strada”, la scorsa stagione, ha riscosso un grande successo tanto da meritare ben tre premi, come “Migliore commedia musicale originale – Migliore autore di musiche (Germano Mazzocchetti) – Migliori costumi (Sabrina Chiocchio)”. Ora il dramma con musiche è approdato sulle scene milanesi e sicuramente avrà il consenso del pubblico perchè capace di tanto coinvolgimento per la maestria e la poesia, sapientemente miscelata unitamente alle sceneggiature, da Tullio Pinelli e Bernardino Zapponi.

Il ruolo di Gelsomina, che nel film era di Giulietta Masina è della bravissima Tosca, mentre quello di Zampanò, che era di Anthony Quinn, è di Massimo Venturiello, che ne è anche regista e autore dei testi delle canzoni insieme a Nicola Fano. Vanno citati anche Camillo Grassi “Il Matto”, Franco Silvestri (proprietario del circo Fiore), Barbara Corradini (la madre di  Gelsomina/padrona dell’osteria), Daniela Cera (prostituta/suora), Alberta Izzo (cavallerizza/ragazza),  Dario Ciotoli (clown/avventore).  Le scene sono scene di Alessandro Chiti, i costumi di Sabrina Chiocchio, le coreografie di Fabrizio Angelini ed il disegno  di Iuraj Saleri. Tutti bravi e talentuosi e con il loro contributo hanno reso possibile l’ottima riuscita della messinscena teatrale.

Massimo Venturiello ha saputo trasformare l’opera, che già di per sé è commovente,  in una dimensione poetica sublime aiutandosi sia con i testi che con le musiche originali di Germano Mazzocchetti. La poesia è data da quei silenzi, che scaturiscono dalla difficoltà di rapporto tra il carattere Burbero di  Zampanò e la dolce Gelsomina. I due,  incapaci di ascoltarsi si muovono nel mondo in cui vivono: “la strada”, in mezzo a persone che hanno in comune solo la ricerca del  quotidiano  sostentamento.

Le voci di  tutti sono a tratti struggenti, ma lasciano spazio anche a momenti si sorriso nel narrare la drammaticità della Storia di Zampanò, un saltimbanco che viaggia con il suo carrozzone sgangherato e di Gelsomina, un’ingenua donna, venduta  da sua madre per poche lire, che per sopravvivere diventa l’assistente di Zampanò e ne subisce il suo carattere duro e violento fino ad impazzire per i traumi a cui è costretta.

Il punto in comune, come nel film, è  il Circo e la  messa in scena teatrale ripropone le difficoltà e la tragedia quotidiana di un’umanità che non è poi così troppo lontana dalla realtà di ogni giorno  vissuta nella nostra opulente società. Una rappresentazione toccante nella quale i sei attori e i due protagonisti, soprattutto con i suoi silenzi, riescono a far nascere delle profonde emozioni nel pubblico  che viene conquistato dalla trama narrativa.

Forse sono le stesse emozioni che provò Fellini, quando casualmente si imbattè in una coppia di zingari che se ne andava in una strada di campagna col proprio carretto  fino a quando si fermarono per mangiare qualcosa, che la donna preparò al momento, senza che mai i due  proferissero parola.

Furono quei silenzi che Fellini rubò e riuscì a trasferire nel suo capolavoro cinematografico, perchè a volte le espressioni del nostro corpo e del nostro volto valgono più di ogni dialogo e riescono a dirci molto di più di lunghi discorsi. Infatti tra Zampanò e Gelsomina non c’è un vero dialogo, ma solo una serie infinita di domande e risposte mancate. Non è forse  quanto accade ancor oggi in molti rapporti tra coniugi, tra genitori e figli, tra amici, che non riescono a trovare un dialogo?

In questa storia scopriamo tutta la disperazione della loro condizione, così simile a quanti vivono tra noi ai margini della nostra società e che il nostro perbenismo ci porta a rendere invisibili con i nostri pregiudizi, tranne che poi non divengono, loro malgrado, protagonisti di storie tragiche di cui ci meravigliamo, scandalizziamo  o  vergogniamo, a seconda della nostra sensibilità.

Il regista e autore precisa: “sulla scena il viaggio dei due protagonisti viene  raccontato e cantato da un gruppo di circensi che interagisce con l’azione scenica per ‘mostrare’ brechtianamente (non a caso la citazione: ‘Mostra i denti Zampanò’) il tragico accadimento, in modo da stimolarne una riflessione”. Aggiungendo: “Intorno a me e a Tosca, rispettivamente Zampanò e Gelsomina, ruota un’umanità altrettanto degradata e marginale, cinica, diffidente e povera. Dalla madre di Gelsomina che incontriamo all’inizio, alla ragazza che per ultima parlerà con Zampanò, tutti, compreso i componenti dello scalcinato circo diretto dallo zingaro Fiore, compreso il funambolo (il Matto), sono personaggi motivati soprattutto dalla fame”.

Recite sino a domenica 30 maggio (feriali ore 20,45 – domenica ore 15,30).

Da www.2duerighe.com del 10/05/2010

10/05/2010 21.38.10

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