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L’orca assassina solo per gioco

 

L’addestratrice morta annegata, probabilmente il cetaceo non voleva farle del male

 

NEW YORK
L’orca sfrecciava dentro e fuori dall’acqua, poi ha afferrato quell’essere umano e l’ha sbattuta con violenza ripetutamente. L’ha trascinata per la piscina e una scarpa della donna è volata via. È suonata una sirena e la gente ha cominciato a correre nel panico». L’orca assassina è tornata a colpire. Dawn Brancheau, 40 anni, una passione per quella vita che le era venuta a 9 anni, assistendo a una esibizione come quella fatale che l’ha ammazzata ieri, non ha forse neppure avuto neppure il tempo di capire. La sua Tilikum ha avuto un raptus di rabbia? Ha voluto alzare il ritmo del gioco con la sua compagna-maestra di tanti tuffi e immersioni? O ha esploso in un raid feroce la frustrazione e la tensione repressa di una esistenza falsa, forzata? L’orca, che i pescatori d’alto mare hanno non a caso gratificato-bollato con l’aggettivo di «assassina» per averla vista duellare spietata con gli squali, non deve spiegare ciò che fa: siano le mille mansuete capriole tra i battimani dei bambini eccitati sia l’atto di furia una tantum da killer naturale.

Le orche assassine nelle vasche dei parchi marini non sono come i leoni nelle gabbie del circo. In natura, i felini ammazzano l’uomo se riescono a prenderne uno nella prateria. Non così le orche. «Non hanno mai ucciso un essere umano negli oceani», ha detto Nancy Black, biologa marina della Monterey Bay Whale Watch, una organizzazione californiana di monitoraggio dei cetacei. Nel loro brodo, insomma, queste gigantesche creature non odiano l’uomo, non gli danno la caccia. Perché, allora, l’orca Tilikum della piscina di Orlando (Florida) ha ammazzato la sua vecchia «amica» Dawn Brancheau, compagna di recite davanti al pubblico del parco di divertimenti SeaWorld? Perché 27 anni di cattività, di vita costretta nell’acqua cristallina e innaturale di una piscina paragonabile ad una vasca da bagno, non domano un’orca assassina. Tilikum, tragica ironia, significa «amico» nel linguaggio Chinook parlato dai nativi americani del Pacifico nord-settentrionale. Ma è un «amico» che aveva due precedenti assassinii nella dorata carriera con il vitto garantito, le visite costanti dei veterinari e dei biologi. Nel 1991, quando Keltie Byrne, 20 anni, addestratrice, cadde nella vasca delle orche nel parco di Sealand, sul Pacifico canadese. E ancora nel 1999, quando Tilly, il soprannome d’arte con cui veniva presentata ai turisti, fu ritenuta responsabile della morte di un uomo. Daniel Dukes, 27 anni, si era immerso nella piscina per nuotare con l’orca nel suo nuovo parco, questa volta in Florida.

I testimoni dello spettacolo di ieri a SeaWorld, quello di mezzogiorno, hanno ancora gli occhi sbarrati per la tragedia: un cetaceo da quasi sei tonnellate, elegante nelle sue evoluzioni, che improvvisamente afferra l’esperta allenatrice per la vita e la fa volteggiare velocemente sopra e sotto il pelo dell’acqua, per minuti interminabili. Dawn muore, pare per annegamento più che per le ferite dovute ai colpi subiti durante le folli giravolte: sarà l’autopsia a stabilirlo.

La Peta (People for the Ethical Treatment of Animal, ente per il trattamento etico degli animali) ha chiesto che Seaworld liberi i cetacei che impiega oggi per i suoi spettacoli, e li rilasci in mare aperto. Ha suggerito che siano utilizzati robot meccanici al loro posto. Ma l’orca, la più grande tra quelle in attività, vale milioni di dollari come riproduttore, e SeaWorld non ha detto che fine farà. Intanto, tutti gli show con le orche nei suoi parchi sono stati sospesi.

 

Di GLAUCO MAGGI

 

Da www.lastampa.it del 26/02/10

27/02/2010 10.45.37

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