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L’Italia in Iran

L’acrobata velata del circo Togni incanta Tehran

Al tendone è tutto esaurito ogni sera.

di Barbara Schiavulli

foto intervento

TEHRAN – La fila davanti alla biglietteria arriva fino alla strada. Gli uomini fanno la coda, mentre le mogli aspettano con i bambini che strattonano le lunghe vesti nere che infagottano i loro corpi. Gli organizzatori non ci possono credere. Non hanno fatto pubblicità, non erano neanche sicuri che sarebbero riusciti a debuttare. «Abbiamo venduto tutti i biglietti e c’è ancora gente che chiede di entrare», dice una testa velata che fa capolino nell’ufficio dell’amministratore. In una notte limpida per una grande capitale, brilla l’insegna a centinaia di metri di distanza. «Signori e signore in città è arrivato il circo Togni». E Teheran è impazzita, quella che sembrava un’impresa impossibile è diventata realtà.

Non è stato facile, non è stato veloce, non sono mancati incidenti, ma alla fine l’esordio è avvenuto. Occhi sgranati, bocche spalancate, bambini rapiti e genitori sorridenti. Non si vede spesso un Iran che si diverte oltre le porte di casa. «Per noi è stata una sfida e il sogno di un amico iraniano che aveva lavorato con noi trent’anni fa – ci racconta Livio Togni seduto accanto a suo fratello Davio, il domatore di Leoni, quando ancora i tecnici stanno sistemando corde e lampadine a poche ore dal debutto – l’Iran non vedeva un circo da trent’anni, da prima della rivoluzione». L’ultimo circo ai tempi dello Scià fu quello di Moira Orfei, che dopo un anno di lavoro, incappò nella rivoluzione islamica e dovettero scappare, aiutati da una nave militare a lasciare il Paese. «Ma ora siamo qui ed è ora di fare un po’ di magia». Leoni, tigri, struzzi e pony, il mondo fantastico degli animali si è trasferito nella zona ovest della città in un grande parco che costeggia l’autostrada.

Il circo non si può mancare. «Arrivare qui è stata una vera avventura», dice Livio che ancora sospira. Trent’otto camion, qualche macchina, bestie da accudire e diverse frontiere da attraversare, di certo non abituate a veder passare un boa di due metri e una montagna di attrezzature. «Prima di partire gli sponsor ci hanno tutti abbandonati, nessuno credeva che ce l’avremmo fatta. Ma noi abbiamo deciso di continuare rischiando di persona. E abbiamo avuto ragione, alla fine siamo arrivati. Per venti giorni, mentre i camion si avvicinavano – racconta Togni – ho lavorato per sbloccare la burocrazia. Nessuno sapeva se stasera saremmo andati in scena». Due giorni fa è giunta la commissione Cultura del governo per giudicare lo spettacolo e dare il suo consenso. Via le ballerine, via le trapeziste, tutte le donne col velo. «Abbiamo adattato lo spettacolo alle esigenze del Paese, abbiamo ottenuto il permesso, i pantaloni si sono allungati, le musiche si sono fatte più soft, ma lo scopo del circo resta lo stesso, se faremo sorridere un bambino ne sarà valsa la pena».

I bambini non hanno solo sorriso, alla vista dei pagliacci si sono illuminati, le piccole manine applaudivano accompagnate da quelle dei genitori che sembravano divertirsi più dei ragazzini. Le donne non possono assistere ad una partita allo stadio, ma al circo erano numerose, velate come le ragazze italiane che fanno ancora un po’ fatica. Hanno comprato abiti adeguati che coprono fino a metà coscia, e le trapeziste si allenano in jeans anche se sanno di non poter volare nell’aria del tendone. Solo una di loro si esibirà, vestita da Ninja, in una tuta nera che la copre o meglio la nasconde da capo a piedi, il seno fasciato per non esibire quelle forme che potrebbero dal fastidio ai religiosi. Sfreccia nell’aria, molti non sanno neanche che è una donna. «Questa esperienza iraniana per noi è appena cominciata – afferma Davio Togni, che sta per indossare l’uniforme da domatore – resteremo sei mesi, due spettacoli al giorno, sperando di fare almeno un paio di altre tappe. Ormai l’Occidente è saturo dello spettacolo circense, quando si arriva in una città da noi è una tradizione, qui invece è un evento».

Il circo è vita, concordano i fratelli, un’avventura che si trasforma ogni giorno. «Per noi questo è uno scambio culturale che spero contribuisca al dialogo tra i Paesi. Il nostro è un linguaggio universale, speriamo di portare qualcosa di buono a queste persone. Inshallah, se Dio vuole», interviene Livio. Intanto in disparte le ragazze si aggiustano il velo, sbuffano, la moglie di Davio che si esibisce con l’hula hop è tra gli esclusi dallo spettacolo, ma il lavoro da fare nel circo non manca mai. «Sono gran belle donne le iraniane», concordano tutte. Alle otto precise si comincia: 250mila rials, 18 euro per i posti migliori, 100 mila per quelli popolari, la fila aspetta, la gente si accomoda, lo spettacolo sta per cominciare.

 

Fonte: LaStampa.it (liberamente tratto)

da: “SuperEva notizie”, 09/12/2007

09/12/2007 10.10.29

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