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Il giornalista Ruggero Leonardi in «Sospeso nel vuoto» narra l’avventura del circo italiano attraverso un suo grande protagonista, che oggi ha 83 anni e ancora sogni

Palmiri, una vita nel tendone

Un mondo magico ma anche concreto, fatto di fatica

di Daniela Bruna Adami
 

 

Quello che lui ha fatto finora, nei suoi intensissimi 83 anni, una persona normale lo farebbe in tre vite. “E non ho ancora finito!”, precisa sorridendo Egidio Palmiri. Lo incontriamo per parlare del libro di Ruggero Leonardi “Sospeso nel vuoto”, appena pubblicato da Gremese (con prefazione di Giulio Andreotti) che, come recita il sottotitolo, racconta “l’avventura del circo italiano nella storia di Egidio Palmiri, suo grande protagonista”.
Palmiri del circo è ancora oggi un protagonista, da presidente dell’Ente circhi e da fondatore dell’Accademia d’arte circense, che ha sede a Verona e che per l’anno scolastico 2008-2009 si sposterà in una nuova sede, non molto lontana dall’attuale, diventando il nucleo di quello che è il suo grande sogno, un circo stabile. “Non ho figli” spiega, “sarà questo la mia eredità”.
Pecca di modestia, Palmiri, perché la sua eredità è molto più sostanziosa. Al circo ha regalato numeri da record di acrobazia a grande altezza, insieme al fratello Giovanni uno stile innovativo nell’allestimento degli spettacoli (il “circo-varietà” con balletti e coreografie e l’uso della musica classica) e nell’organizzazione della troupe e dei lavoratori, introducendo come si faceva all’estero, il giorno libero settimanale e i 27 giorni fissi pagati al mese quando invece in Italia si usava il metodo della “giornata e camerata”, cioè paga in parte fissa e in parte a spettacolo e un nuovo corso nell’organismo associativo che è l’Ente circhi, che ha portato, un anno dopo la sua elezione, ad una legge apposita e negli anni successivi a cambiamenti che solo lui poteva introdurre: ad esempio la rinuncia agli scimpanzé, “perché” spiega Palmiri, “quando arrivavano all’età di 8-10 anni diventavano aggressivi e le femmine ingestibili”, o agli orsi, “perché è difficile garantire loro un ambiente confortevole”, o alle fotografie con i leoncini e i tigrotti, “dannose per gli animali”.
Leonardi, giornalista, esperto e appassionato di circo, nel raccontare Palmiri insieme a fotografie d’epoca, accompagna il lettore in un mondo magico come quello di una fiaba, ma anche molto concreto, fatto di fatica e di sudore. Era destino che arrivasse a scrivere un libro su Palmiri. Quasi a colmare quella che, nella sua introduzione ad un altro libro dedicato agli “acrobati folli”, di Raffaele De Ritis, Leonardi definisce “un’occasione mancata”: da bambino, nel 1947, abitava a pochi passi dalla Madonnina di Milano, dalla piazza dove Giovanni ed Egidio si esibivano in uno dei loro strabilianti numeri a grande altezza, con Giovanni che volteggiava appeso ad un trapezio trasportato da un biplano, e non poté vederli, ma solo sentirne parlare dai familiari, le cui parole alimentavano in lui una passione ancora oggi intatta. Ecco forse spiegata l’attenzione non solo alla dimensione artistica di Palmiri, ai “numeri”, ma anche alla vita quotidiana, ai mille problemi e alle altrettante soluzioni, ai viaggi, alle amicizie, ai lutti.

 

 

Chi conosce personalmente Palmiri, ritrova in queste pagine la caparbietà e l’umanità che lo caratterizzano e che lo fanno anche così tanto apprezzare e rispettare tra i circensi e tra i “fermi” (chi non fa parte di quel mondo). Basti vedere, per capire quanto Palmiri ci tenesse alla disciplina, il regolamento del suo circo riportato nel libro.
Una parola chiave la si trova già nel primo capitolo: “scelte”. La vita di Egidio, come quella del circo in generale, è fatta di scelte, “di quelle che pesano quanto una vita intera”. Leggiamo: “Si trattava di salire su un trampolino e spiccare un salto nel vuoto di 5 metri con le caviglie legate a funi metalliche”. Egidio aveva allora 23 anni e saltò. E da lì iniziò l’avventura che portò all’Arena Palmiri, al doversi reinventare uno spettacolo dopo la morte di Giovanni, avvenuta nel 1949 durante il pericoloso numero della motocicletta su un cerchio “sospeso nel vuoto”, lo stesso che si portò via più tardi anche una delle sorelle e la cognata al matrimonio con Leda Bogino, che sarà una delle colonne dell’Accademia, e poi al sodalizio con i danesi Benneweis, al numero di cavalli, al rapporto con i Togni.
Nel 1966-67 la chiusura del circo, ultima piazza Bergamo, quindi la direzione dell’Enc, l’Ente nazionale circhi, che Palmiri traghetta negli splendidi e complicati anni Settanta tra difficoltà che, come sottolinea bene Leonardi, sono ancora di attualità, come la mancanza di spazi nelle città, le sovvenzioni statali esigue e le polemiche sugli animali, e che oggi non vede ancora un possibile successore: “sarà probabilmente un comitato di quattro-cinque persone” ipotizza lo stesso Palmiri, che intanto pensa alla “sua” accademia, nata a Verona e a Verona ritornata tre anni fa. Una città fondamentale per Palmiri fin dal 1948: racconta il libro che col fratello si esibì in Arena, ma l’attrezzo alto 56 metri si piegò e un ingegnere della Dalmine, presente allo spettacolo, promise di procurare loro qualcosa di più adatto, tanto che Giovanni, con i nuovi tubi, raggiunse i 66 metri di altezza e il record ancora oggi insuperato.
E a Verona ha sede il Cedac, cui è dedicata l’appendice di Antonio Giarola, un centro di documentazione intitolato a Egidio Palmiri che è preludio di un altro sogno dell'”acrobata folle”, un Museo italiano del circo.

 

da: “Brescia Oggi”, 01/05/2007

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