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Quello che lui ha fatto finora, nei suoi intensissimi 83 anni, una persona normale lo farebbe in tre vite. “E non ho ancora finito!”, precisa sorridendo Egidio Palmiri. Lo incontriamo per parlare del libro di Ruggero Leonardi “Sospeso nel vuoto”, appena pubblicato da Gremese (con prefazione di Giulio Andreotti) che, come recita il sottotitolo, racconta “l’avventura del circo italiano nella storia di Egidio Palmiri, suo grande protagonista”. Palmiri del circo è ancora oggi un protagonista, da presidente dell’Ente circhi e da fondatore dell’Accademia d’arte circense, che ha sede a Verona e che per l’anno scolastico 2008-2009 si sposterà in una nuova sede, non molto lontana dall’attuale, diventando il nucleo di quello che è il suo grande sogno, un circo stabile. “Non ho figli” spiega, “sarà questo la mia eredità”. Pecca di modestia, Palmiri, perché la sua eredità è molto più sostanziosa. Al circo ha regalato numeri da record di acrobazia a grande altezza, insieme al fratello Giovanni uno stile innovativo nell’allestimento degli spettacoli (il “circo-varietà” con balletti e coreografie e l’uso della musica classica) e nell’organizzazione della troupe e dei lavoratori, introducendo come si faceva all’estero, il giorno libero settimanale e i 27 giorni fissi pagati al mese quando invece in Italia si usava il metodo della “giornata e camerata”, cioè paga in parte fissa e in parte a spettacolo e un nuovo corso nell’organismo associativo che è l’Ente circhi, che ha portato, un anno dopo la sua elezione, ad una legge apposita e negli anni successivi a cambiamenti che solo lui poteva introdurre: ad esempio la rinuncia agli scimpanzé, “perché” spiega Palmiri, “quando arrivavano all’età di 8-10 anni diventavano aggressivi e le femmine ingestibili”, o agli orsi, “perché è difficile garantire loro un ambiente confortevole”, o alle fotografie con i leoncini e i tigrotti, “dannose per gli animali”. Leonardi, giornalista, esperto e appassionato di circo, nel raccontare Palmiri insieme a fotografie d’epoca, accompagna il lettore in un mondo magico come quello di una fiaba, ma anche molto concreto, fatto di fatica e di sudore. Era destino che arrivasse a scrivere un libro su Palmiri. Quasi a colmare quella che, nella sua introduzione ad un altro libro dedicato agli “acrobati folli”, di Raffaele De Ritis, Leonardi definisce “un’occasione mancata”: da bambino, nel 1947, abitava a pochi passi dalla Madonnina di Milano, dalla piazza dove Giovanni ed Egidio si esibivano in uno dei loro strabilianti numeri a grande altezza, con Giovanni che volteggiava appeso ad un trapezio trasportato da un biplano, e non poté vederli, ma solo sentirne parlare dai familiari, le cui parole alimentavano in lui una passione ancora oggi intatta. Ecco forse spiegata l’attenzione non solo alla dimensione artistica di Palmiri, ai “numeri”, ma anche alla vita quotidiana, ai mille problemi e alle altrettante soluzioni, ai viaggi, alle amicizie, ai lutti.
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