Ci sono persone camuffate da impomatati travet, spose radiose, acrobati e prestigiatori in calzamaglia. E vedute romane o nature morte così essenziali e inanimate da appartenere un tempo immobile: una giornata degli anni Venti o oggi pomeriggio. Il tutto grazie a una pittura preziosa, analitica, pignola. Una pasta d´olio che pare smalto e che dà corpo a figure antiche, eppure calate in abiti e ambienti feriali: come se Piero della Francesca fosse passato per un laboratorio delle ceramiche Lenci. È questo (anche questo) il mondo di Antonio Donghi. Al pittore nato il 16 marzo 1897 da una famiglia di sarti e morto, solo, nel 1963, Roma, la sua città, dedica una vasta antologica al Vittoriano. Maria Teresa Benedetti e Valerio Rivosecchi hanno scelto con cura gli 80 lavori (un terzo circa di un corpus composto “appena” di 250, lavoratissime opere) puntando innanzitutto sui 22 oli, i 4 disegni e i due pastelli della collezione della Banca di Roma: dalla Basilica di Massenzio del 1920 circa al Ritorno dalla Campagna del 1962, esposti accanto ai Piccoli saltimbanchi della collezione Cerasi, a Ponte Cestio o a Via del Lavatore (l´artista passò l´infanzia tra le vie del rione Trevi) del Museo di Roma, alla Sposa rinascimentale dell´Ina Assitalia o alla Donna alla toletta, porcellanata come una Madonna di Cima, della Galleria comunale d´arte moderna. La mostra – aperta dal 16 febbraio nel salone centrale – giunge a 14 anni dall´ultima rassegna (a Spoleto) sul lavoro del pittore che forse meglio di ogni altro incarna la poetica del “Realismo magico”: un ossimoro, ma solo a patto di credere – ma non con Donghi, né con De Chirico e Carrà, la cui metafisica spiega la visone sospesa, sebbene incollata alla realtà, del romano – che non ci può essere mistero nella quotidianità. Dopo la grande, e diversissima, pittura di Matisse e Bonnard (oggi ultimo giorno di mostra), e in attesa che arrivi a marzo un altro protagonista della Parigi tra le due guerre (Chagall, dall´8 marzo), il Vittoriano ospita i gioielli di Donghi: un artista strettamente legato al clima capitolino del ritorno all´ordine, e al mestiere, di “Valori plastici” (tenne la sua prima personale nel 1924 da Bragaglia, esponendo accanto al grande Arturo Martini, cui peraltro la Galleria nazionale di valle Giulia dedica un´antologica dal 24 febbraio) eppure capace di guardare – e di essere guardato – oltre l´Italia del Ventennio. I suoi acrobati ricordano il circo di Georges Seurat. E poi, visto il suo successo al Premio Carnegie di Pittsburg del 1927, «chissà che Grant Wood o Edward Hopper non abbiano visto Donghi», ipotizza la Benedetti. Antonio Donghi, Vittoriano, via San Pietro in Carcere, dal 16 febbraio al 18 marzo realizzazione di Comunicare organizzando, catalogo Skira ingresso, 6 euro (info 06 6780664).
da: “Repubblica”, 04/02/2007
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