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La grande crisi business dei ‘reality show’

 

GABRIELE DI MATTEO

 

«Questi reality non mangeranno il panettone!», prevedeva un media buyer anticipando la chiusura di Circus, il format di Canale 5 condotto da Barbara D’Urso, che forte di una fortunata edizione del Grande Fratello, ha tentato di replicare il successo del ‘confessionale’ tra la segatura e gli animali. L’esperimento è andato malissimo: con una share del 15%, crollata al 12 nella serata d’addio, inferiore di oltre 10 punti sugli obiettivi di rete, il format equestre di Canale 5 va in soffitta. Massimo Donelli, direttore della rete ammiraglia di Berlusconi, si trova in mano la prima patata bollente del suo incarico, e per correre ai ripari offre agli inserzionisti film tipo Natale sul Nilo che in Mediaset tengono in magazzino per le situazioni di emergenza. Per i grandi sponsor, che hanno comprato spazi di trenta secondi su Circus pagando, come da listino Publitalia, 58mila euro, la cosa non è indolore: i media buyer, per conto delle aziende, studiano nei minimi particolari l’abbinamento tra i prodotti e il target, e gli spostamenti di palinsesto creano un pasticcio, figurarsi una chiusura anticipata.
Intanto Antonio Marano, direttore di Raidue, e ‘padre’ del costoso Wild West, bloccato tra il 6 e il 7% di share, per evitare guai peggiori, sposta il format di Alba Parrietti dal prime time al preserale, dove l’obiettivo di rete è più modesto. Ora sarà difficile per continuare ad applicare il costo iniziale di 39mila euro a spot. Anche qui si cercano formule di compensazione per gli sponsor, tenendo conto che in Mediaset uno share del 6% significa chiusura immediata, mentre in Rai la pressione degli inserzionisti è meno violenta. Come vengono risarciti gli inserzionisti che hanno investito sugli sfortunati reality? «Non è un problema dice Isabella Rota, a capo di Omnicom Italia poiché con Publitalia si trova sempre una programmazione alternativa in cui andare a cercare le ‘teste’ che ci interessano. Il problema è che i nostri specialisti si prendono la responsabilità di fare delle stime prima di investire, e a volte le aspettative vengono deluse».
Ammette Marco Bassetti, che per primo ci credette con il Grande Fratello: «Il reality ha perso spinta propulsiva». E Walter Hartsarich, presidente di Aegis Italia, aggiunge: «I nuovi format televisivi subiscono una veloce e spietata obsolescenza perché le nuove generazioni, abituate alla velocità di Internet, consumano molto prima ogni nuova offerta». Antonio Maccario, che in Rai lanciò La prova cuoco, dice: «Il problema di Circus è stato lo slittamento verso il varietà che ha creato un buonismo deludente: un reality che si rispetti deve essere spietato, crudo, e ben organizzato da un punto di vista narrativo. Non è vero che la formula ha perso appeal: mia figlia di nove anni non perde una puntata de La pupa ed il secchione, che funziona benissimo, perché ha una struttura originale ed i casting sono curati». Anche L’Isola dei famosi, condotta da Simona Ventura, venduta dalla Sipra a 115mila euro per spot, quest’anno è calata anche se è riuscita a chiudere delle serate con una media di 5 milioni di telespettatori.
Maccario torna sui contenuti: «Il successo di un reality come L’Isola è legato alla qualità dei naufraghi. Se i produttori riuscissero a portare sull’Isola un miliardario come Flavio Briatore, simbolo del comfort e del lusso, il divertimento sarebbe assicurato, ma con ospiti di secondo livello come quelli di adesso, cosa si può pretendere?» insiste: «Il telespettatore è stufo di una minestra troppe volte riscaldata. Il GF nella sua prima edizione creava dei piccoli miti televisivi come Taricone, che per gli inserzionisti funzionava bene anche come testimonial, ma il logorio della routine ha investito anche il format spione per eccellenza». Hartsarich conclude così: «Alcuni reality non pagano più in termini di ascolti perché il telespettatore giovane ha bisogno di formule nuove, che lo facciamo sentire protagonista dello show. Credo che il genere reality possa rinascere solo con un radicale ripensamento basato sulle nuove tecnologie. Voglio essere io, come nel caso di siti come MySpaces, a scrivere il palinsesto, e non voglio più subirlo».

 

Da Repubblica.it 30-10-06

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