IL CIRCO IN CITTA’
A cura di Enzo Prisciandaro
Pubblicato il 22/09/2006
Il Circo in città: “Qui, tutti i sogni sono permessi, e voi spettatori siete i re di questo regno, i poeti e i clown” (Guy Lalibertè)
Se dovessi evocare nel mio immaginario l’arrivo del circo in città, mi rifarei alle spettacolari sfilate da Circo Barnum che invadevano le strade principali con caroselli di elefanti, carri trainati da cavalli bardati con pennacchi, clown con scarpe fuori misura che si cimentavano in approssimate acrobazie ed ingenue ma esilaranti gag – una sempreverde torta in faccia, perchè no! – insomma andrei a scomodare la realtà scalcinata e poetica di universi di felliniana memoria, fatta di piste in terra battuta, cerone a buon mercato e fiere troppo anziane per sbranare il loro domatore.
Ma la donna barbuta ha perso il suo fascino, lo zelo animalista ha svuotato le gabbie e la “Moira degli elefanti” avrà vita sempre più dura, i bambini non hanno più quello sguardo rapito e incantato di una volta e assistono scettici allo spettacolo di barboncini ammaestrati che ballano il valzer, o di pagliacci che si scambiano vicendevolmente secchiate di coriandoli in faccia.
Il circo è morto? No, non potremmo fare a meno di quella magia. E’ stato solo reinventato. E’ stato preso a cuore da grandi artisti che hanno saputo ritrovare la sorgente primaria di un’arte che nasce dalla strada e che trasforma la realtà più banale in un mondo incantato: parliamo del Noveau Cirque, espressione spettacolare che si fonda sulle antiche abilità e che si adegua all’evoluzione rapidissima delle aspettative del pubblico, creando per esso suggestioni sempre nuove e attrazioni che abbiano la potenza di lasciare a bocca aperta.
L’apripista per eccellenza di questa nuova ondata è il Cirque du Soleil, che molti avranno avuto la fortuna di ammirare grazie all’approdo in Italia di “Saltimbanco” e di “Alegrìa” nato per merito di una manciata di artisti di strada del Quebec, in poco più di vent’anni il Cirque è diventato emblema mondiale dell’intrattenimento e motore della piccola rivoluzione copernicana del circo: per primi trovano una formula spettacolare in cui non sono più necessari animali, in cui la musica dal vivo diventa concerto e il canto è parte integrante della drammaturgia della messa in scena, in cui scenografia e costumi sono i grandi protagonisti e aiutano ad ideare una storia che fa da filo conduttore tra le diverse attrazioni, animate da artisti che si fanno atleti e sfidano le loro capacità fisiche al limite dell’umano. “Invoke – Evoke – Provoke”, invocare – evocare – provocare, questo è il sogno che ha spinto Guy Lalibertè a trasformarsi nell’imperatore di quel regno dei sogni con marchio registrato che è il Cirque du Soleil
Altre realtà meno titaniche sono ugualmente in grado di portarci nella dimensione poetica del circo, come ad esempio Bartabas, che un anno fa ha stupito il pubblico romano con “Zingaro”, animato dallo strabiliante connubio di cavalli ed anatre, non più fenomeni da baraccone ammaestrati ma zelanti attori intenti ad esprimere la possibilità di un’armonia tra uomo e natura, capaci di toccare momenti di sublime, proprio loro, le cosiddette “bestie”.
Slava Polunin lo scorso inverno ha portato con sè la spettacolare tempesta di neve dello “Slava’s Snowshow” ed è riuscito a dimostrare che la comicità necessita solo di un clown, una valigia di cartone e uno smisurato talento che aneli alla poesia: come dimenticare il delicato addio alla stazione tra Slava e la sua amata (che l’attore ricrea col solo aiuto di un cappotto sdrucito), preludio dell’imponente bufera di neve e vento che si scatena contro il pubblico, con un espediente semplice ma geniale come l’utilizzo di un potente ventilatore e sottili listarelle di carta: il pubblico vede, sa che è tutta un’illusione, ma per alcuni minuti è proiettato nella Siberia più gelida assieme all’infreddolito clown dall’espressione struggente.
Piccolo grande neo. La poesia immaginifica che caratterizza ciascuna di queste realtà non può celare gli effetti collaterali dati da un inequivocabile dato di fatto: il circo vende, e frutta anche molto bene.
Anche questi virtuosi artisti hanno ceduto alle lusinghe del guadagno e soffocano sempre più esageratamente lo spettatore di magliette, cappellini, cd, gadget, ricordini, etc., riconducibili tutti a quell’unica agghiacciante espressione che è “merchandising”.
I magniloquenti cortei finalizzati a richiamare pubblico sono stati scalzati da campagne pubblicitarie ossessive che deturpano oltremodo le nostre città, inducendo il pubblico ad un salasso di minimo 50 euro per un paio d’ore di evasione dalla realtà.
Il caro vecchio tendone non fa da casa agli odierni circhi, che preferiscono i vasti spazi o la dimensione più raccolta dei teatri il Cirque du Soleil si muove ancora nei tour mondiali con il suo mastodontico “chapiteau”, ma è anche vero che negli Stati Uniti ha creato un munifico impero installando gli spettacoli più grandiosi e costosi (si pensi ad “O”, spettacolo acquatico che si svolge in un’immensa vasca allestita all’interno del teatro Bellagio) nella babilonica Las Vegas, registrando un costante tutto esaurito e producendo spettacoli in serie in cui è sempre più riconoscibile una matrice che tende a ripetersi fino all’esaurimento.
Lasciamo alla prossima settimana il racconto di “Nomade”, spettacolo che il Cirque Eloize presenterà al teatro Eliseo dal 26 Settembre, che promette momenti di grande magia ed emozione.
( articolo di Luisa Ricci )
Da Supereva del 24-09-06
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