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C’era un clown che sbeffeggiava Hitler


Una favola vera di Athos Bigongiali: il film misterioso intepretato da Jerry Lewis su Helmut il Grande, l’artista che nel lager accompagnava i bambini nelle camere a gas

 

Ma chi è Doork? E’ una storia nella storia. Non a caso suggellata (licenziata) il 27 gennaio scorso, giorno della memoria. Si può anche così, poeticamente, «ricordare», scalfire l’indifferenza, arginare gli incubi che ad ora incerta riappaiono. Athos Bigongiali ha inventato una favola vera, Il Clown, una seria filastrocca sulla follia di ieri, eppure sempre all’erta, sempre gravida. C’era una volta. E c’era una volta. C’era una volta un pagliaccio, fra i maggiori, che in Parigi occupata ebbe l’ardire di sbeffeggiare il Führer. E così finì ad Auschwitz. C’era una volta, correvano i primi Anni Settanta, Jerry Lewis, che dissipò trenta chili per entrare nei panni di Helmut il Grande. Ma il film The Day the Clown Cried, a modo suo antesignano di La vita è bella, tale l’intenzione di arredare un’oasi (autentica oasi?) nella Shoah, non venne mai proiettato… Accendere (riaccendere) le luci, va da sé chapliniane, sulla strana carambola cinematografica, nonché sul clown che come ogni clown si dipinge la lacrima sotto gli occhi. Athos Bigongiali è un lampionaio che magicamente evoca (suscita, ri-suscita) questo e quello spirito, e stile, e destino, e numero d’alta scuola. Raul Piccolomini, il poliglotta clown italiano che assiste Jerry Lewis, è «un vecchio artista da casa di riposo». Arrivato sul set dalla Svizzera, forse dall’atelier «circense» di Walter Kurt Wiemken, l’artista che surrealmente interpretò il charivari (le capriole) e la marcia dei Gladiatori…
La fabula lievita oscillando fra «l’ansia dei curiosi, la disperazione dei falliti, la momentanea allegria di una smorfia» che mirabilmente Osvaldo Soriano dissemina in Triste, solitario y final. Non senza un’eco di Ombre e nebbia, l’Europa d’antan quale ha confessato di immaginare Woody Allen: «.. vengono subito in mente stradine inquietanti e tortuose e un’atmosfera da circo». Anni Venti e dintorni, avvicandosi l’abisso che Dürrenmatt (convocato da Athos Bigongiali) rischiara in Il giudice e il suo boia. Non dimenticando la divisa (ma nel momento cruciale spiegazzata, addirittura stracciata?) di Bartleby: «Preferirei di no». «Doork è morto nel 1944, disse Jerry Lewis. Purtroppo i registri sono andati perduti, bruciati, credo, come tutto il resto in quel posto, ma pare proprio che avesse sessant’anni. O almeno, così sarà nel film. La sua età, pensi un po’». Raul Piccolomini, un vastissimo repertorio, più di trecento pantomime, scende alla stazione di San Rossore malandato e in bolletta. La meta sono gli Studios di Tirrenia. La buona sorte gli arride. «Formosa e piacente», tacchi a spillo e tailleur, si chiama Flora: «Io sono la donna di danari (…). Sono la donna che può cambiarti la vita». L’avventura comincia. Toccando (qualcuno aveva visto lo «scandaloso» spettacolo, ossia Doork, ubriaco fradicio, in platea la Gestapo, irridere «un mezzo matto che si era messo in testa di fare concorrenza a Napoleone»?), tornando sulla costa tirrenica, lì assaporando i carciofi alla giudea ed evocando l’età del Sorpasso, indi raggiungendo Stoccolma, teatro della misteriosa pellicola. Accanto a Jerry Lewis, Raul si cala a poco a poco, inesorabilmente, nella tenebra mai svanita, scoprendone, intuendone, la drammatica possenza. Angelo o criminale, Helmut, che nel lager riprodusse il circo equestre? Sommerso pure lui, come i bambini che a centinaia, terribile eco del pifferaio di Hamelin, attraeva nelle camere a gas («… abbracciati insieme, ridendo per una qualche sua gag, scompaiono nella nebbia dei fumoni») o «salvato»? Passò o non passo per il camino? Si pentì e si condannò o, come direbbe Dürrenmatt, testimoniò fino all’estremo «il male che non è l’espressione di una filosofia o di un impulso, bensì della sua libertà: della libertà del nulla»?

 

Da La Stampa web del 13-05-06

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