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Stampa: «Alegria» contagiosa

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Al Forum di Assago sino al 26 marzo. Dal 27 aprile al 28 maggio sarà a Roma

«Alegria» contagiosa


Successo per il Cirque du Soleil a Milano

 

Milano. Quando si oltrepassa l’ingresso dell’enorme tendone bianco, non si va semplicemente ad assistere ad uno spettacolo di circo, ma si entra in un mondo a parte, scintillante di paillettes e di luci, ridondante di musica e di prodezze al limite delle umane possibilità. È il Cirque du Soleil, che definire magico è riduttivo. È uno spettacolo che almeno una volta nella vita vale la pena di vedere, e che quest’anno, dopo il grandioso successo di «Saltimbanco» dell’anno scorso, ha portato in Italia uno dei grandi classici, «Alegria», all’area Forum di Assago, a Milano, fino al 26 marzo e poi a Roma dal 27 aprile al 28 maggio.
Il più grande regalo del Cirque du Soleil ai suoi spettatori è di renderli partecipi di un evento che ha del soprannaturale, un po’ come fa Shakespeare quando ci fa entrare nella foresta di Oberon e Titania. Tutto è così perfetto da sembrare semplice, quando invece è frutto di una tecnica eccezionale e di uno staff artistico di primo piano. Se già in «Saltimbanco» (che è datato 1992) avevamo gustato la bellezza del «nuoveau cirque», di quello stile teatralissimo eppure ancora così tanto tradizionalmente circense, in «Alegria» lo abbiamo visto ancora più ricco di aspetti visionari e di fantasmagorie barocche mutuate dalle fantasie oniriche infantili del teatro europeo del Sei-Settecento. Non per niente «Alegria» nacque nel 1994 per celebrare i primi dieci anni della compagnia di Montreal (creata da Guy Laliberté) sottolineando al tempo stesso il debito culturale nei confronti della vecchia Europa, ma prendendone anche le distanze: basti pensare che non usa animali, che invece furono presenti da sempre nel circo, in particolare i cavalli.
«Alegria» è uno spettacolo allegro come dice il titolo, strabiliante per quanto virtuosismo contiene. Se in un qualsiasi circo vediamo di solito alcuni numeri di punta, al Circo del Sole lo sono tutti, e non c’è mai un momento di pausa. Occorrerebbe citarli tutti, ma vorremmo lasciare un po’ di sorpresa. Bastino i saltatori russi su due diagonali di tappeti elastici (uno dei numeri più affascinanti), l’uomo angelo all’elastico, la coppia di contorsioniste mongole leggere come uccellini e flessibili come giunchi, il numero finale di volteggi alle barre aeree con porteur al trapezio. Ma c’è spazio anche per i clown, più discontinui ma con due numeri di gran classe. Non c’è un artista che prevalga su un altro, perché tutti sono stelle di un firmamento che si può leggere come si vuole, trovandovi le figure e i significati che ciascuno preferisce, vivendovi il proprio carnevale inebriante e appagante.
Daniela Bruna Adami

 

Da Il Giornale di Vicenza del 12-03-06

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