“Cineserie”, le meraviglie poetiche del circo-teatro di Arcipelago
Le mirabolanti acrobazie, al limite dell’impossibile, della Troupe Acrobatica di Dallan (Cina) a cui fa da contrappunto una coppia di clown, maschio e femmina, cenciosi, imbranati, incespicanti: è questa la proposta di Marcello Chiarenza e Alessandro Serena (Arcipelago Circo Teatro) per il loro spettacolo “Cineserie” presentato il 23 e il 24 febbraio all’Arsenale di Venezia, nell’ambito del festival del Teatro della Biennale di Venezia, diretto da Maurizio Scaparro. Questa contaminazione tra perfezione tecnica e elementi della commedia dell’arte popolare è una formula ormai collaudata ed è una formula convincente, come dimostra “Cineserie”. Gli esercizi acrobatici stupiscono e strappano meritati applausi: dalla cortigiana che fa ruotare sulle punte dei piedi, contemporaneamente, sei fragilissimi ombrelli di seta ai “contadini” che fanno girare vorticosamente delle funi con alle estremità delle ciotole d’acqua senza versarne una goccia dai saltatori che centrano il cerchio ruotante agli esercizi a corpo libero di due acrobati che creano figure speculari, quasi un riflesso l’una dell’altra. La magia, però, è altra: la fame dei due clown che dà origine a una pesca miracolosa il loro assistere con stupore all’esibizione degli acrobati povera gente che, alla fine, riesce ad elevarsi, fino a diventare, lei, una regina delle nevi. Il trasmutare delle stagioni, sullo sfondo di un cielo dove sono appese nuvole e vascelli è l’altro elemento poetico dello spettacolo. Molti bravi i due clown, Emanuele Pasqualini e Giorgia Penzo, calorosamente sostenuti dal pubblico di casa. Peccato che le due sole rappresentazione abbiano impedito di soddisfare le numerose richieste.
Sempre di casa anche le Produzioni Teatrali Veneziane, con la regia di Alessandro Bressanello, a cui si deve “Marco Polo e Kublai Kan” ovvero lo cunto delle città invisibili, rappresentato, all’Arsenale, il 24 e il 25 febbraio. Il racconto si snoda a partire dagli acquerelli delle 55 città invisibili di Pedro Cano, liberamente ispirati all’omonimo racconto di Italo Calvino e disposti tutto attorno al palcoscenico: Marco Polo (Filippo Maria Covre) le illustra al Kublai Kan (Eleonora Fuser) di volta in volta incuriosito, irritato o perplesso dalla descrizioni, se si tratta di finzioni o di realtà, se agisce la nostalgia del passato o l’utopia del futuro. Ogni città sembra includere tutte le altre, quelle distrutte dal tempo e quelle che verranno, come del XX secolo che è gia contenuta nelle mappe del Kublai Kan del XIII secolo. Essenziale l’allestimento scenico di Flavia Panzieri, affascinante l’accompagnamento musicale su strumenti tradizionali orientali di Said Chavoshbaran e Hossein MohammadzadehLidia Panzeri
Da Il Gazzettino on line del 25-02-06
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